ARTICOLO ATTIVO
17/03/2022
CORTE DI CASSAZIONE

LA POSIZIONE DELLA CASSAZIONE SUL TEMA CREDITO INESISTENTE E CREDITO NON SPETTANTE

La Cassazione ribadisce e conferma la netta differenza e applicabilità.
Sempre più spesso, in materia di credito d’imposta R&S al contribuente viene contestato da parte dell’Agenzia delle Entrate un credito inesistente. Tale contestazione, certamente, comporta per lo stesso delle conseguenze più sfavorevoli, rispetto all’ipotesi in cui il credito venga considerato come non spettante.
La diversa qualificazione del credito nell’ipotesi più grave comporta infatti il raddoppio del termine decadenziale per la notifica degli atti di recupero, oltre all’applicazione della sanzione amministrativa maggiorata (calcolata tra il 100% e il 200% del credito inesistente) e della sanzione penale triplicata per il reato tributario di indebita compensazione (con la reclusione da 1 anno e 6 mesi fino a un massimo di 6 anni).
A fronte di innumerevoli ricorsi, presentati dai contribuenti in merito alla legittimità o meno delle contestazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate, la Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, in parziale contrasto con l’orientamento passato, ha preso posizione chiarendo che esiste una distinzione, di tipo logico-giuridica, netta tra credito inesistente e credito non spettante. 
La giurisprudenza di legittimità, con la recente sentenza n. 7615/2022, depositata lo scorso 3 marzo 2022 (confermando quanto già affermato nelle sentenze n. 34444 e 34445 depositate il 16.11.2021), ribadisce che non si può considerare, e dunque contestare al contribuente, un credito inesistente, qualora manchi anche solo uno dei due requisiti previsti dalla normativa in materia, ai sensi dell’art. 13, 5 comma del D.Lgs 471/1997.
Dunque, alternativamente, qualora manchi il presupposto costitutivo del credito o ci si trovi nell’ipotesi in cui l’inesistenza del credito non possa essere riscontrabile mediante controlli se non di tipo automatizzati o formali, il Soggetto Accertatore potrà limitarsi a contestare al contribuente il solo credito non spettante.
La Corte non si limita però solo a far chiarezza e confermare la netta distinzione tra le due ipotesi di credito; in aggiunta, mette in evidenza che per poter parlare di credito inesistente è necessario che vi sia stato da parte del contribuente un intento, coscientemente fraudolento, di voler presentare una situazione non veritiera.
Viene rimarcato dunque la necessaria presenza dell’elemento soggettivo in capo al contribuente stesso, ossia quello della cosciente volontà di porre in essere una condotta fraudolenta, mediante artifici e documentazione falsa.
A riguardo, afferma infatti che “in sintesi, per poter qualificare un credito come inesistente è necessario che lo stesso sia ancorato ad una situazione non reale o non vera”, “ossia priva di elementi giustificativi fenomenicamente apprezzabili, se non anche con connotazioni di fraudolenza”.
In conclusione, quando il credito d’imposta risulta derivante esclusivamente da documentazione non veritiera rispetto alla realtà, e per tanto falsa, allora il credito è inesistente.
Al contrario, se in sede di accertamento, da controlli formali o automatizzati, risulta una non corrispondenza tra quanto esposto in dichiarazione e quanto esibito documentalmente poi dal contribuente, a quest’ultimo non potrà esser che contestato il solo e meno grave credito non spettante.